Tra i colli dei castagni

George Sand, nella prima delle sue "Lettres d'un voyageur", parlando della sua gita a Bassano, nella primavera del 1844 descrive ammirata il panorama goduto da quella meravigliosa balconata che è l'attuale Viale dei Martiri: "... la campagna non si presentava ancora in tutto il suo splendore, i prati erano di un verde languido tendente al giallo e le foglie stavano appena sbocciando sui rami degli alberi. Ma i mandorli ed i peschi in fiore intrecciavano qua e là le loro ghirlande rosa e bianche alle masse scure dei cipressi. AI centro di questo giardino immenso il Brenta scorreva rapido e silenzioso su un letto dì sabbia tra due larghe rive cosparse dei detriti e dei grossi massi che esso strappa al seno delle Alpi e di cui dissemina la pianura nei suoi giorni di collera. Un semicerchio di fertili colline, coperte da quei lunghi tralci di vite nodosa, che si vedono sospesi ad ogni albero della Venezia, formava da un lato una prima cornice del quadro; e i monti coperti dì neve, sfavillanti ai primi raggi del sole, costituivano dall'altro una seconda immensa orlatura che si stagliava come una cresta d'argento sull'azzurro intenso del cielo". 
E appunto questa deliziosa cornice naturale della cittadina veneta che ci proponiamo di scoprire: l'epoca più consigliabile per una visita è la primavera, quando i ciliegi in fiore spruzzano di bianco i pendii delle colline o, ancora, l'autunno, stagione di raccolta del "pane dei boschi", il marrone, che qui trova la sua patria d'elezione. 
L'itinerario parte dal famosissimo Ponte Vecchio di Bassano e, seguendo il corso dei Brenta, si dirige inizialmente a nord, verso lo sbocco della valle. L'amena campagna riparia che qui s'incunea tra il fiume e le colline conserva ancora l'antico nome di "corte", la denominazione longobarda delle proprietà terriere. Sotto la Serenissima la tenuta fu proprietà dei nobili Gradenigo, che nel Seicento vi costruirono un'elegantissima villa in stile barocco: Cà Michiel, senza dubbio la più bella villa veneta del bassanese, preceduta da ubertosi vigneti. Siamo qui nella zona a D.O.C. dei vino Breganze e la tradizione vitivinicola mantiene vive occasioni di folklore locale quali la festa dell'uva, che si svolge in settembre nella piazza di Bassano, e la festa dei fiori e del vino, in aprile a San Giorgio. Oltrepassata Cà Michiel, una stradicciola sulla sinistra porta, con ripida ma breve salita, all'antica pieve di Sant'Eusebio, dal cui sagrato l'occhio spazia sulla vicina Bassano, le pendici del Grappa ed i Colli Asolani. 
Ancora alcuni chilometri ed eccoci a Campese; alle porte dell'abitato l'abbazia di Santa Croce, fondata nel 1124 da Ponzio, abate di Cluny, rievoca nelle sue vetrate gli avvenimenti che per sette secoli, sotto la guida dei monaci benedettini, la videro saggia amministratrice di gran parte dei territorio del Canal di Brenta. 
La bellezza e la salubrità del luogo, che tanto avevano colpito il fondatore, fecero del convento un'oasi di riposo per i religiosi alla ricerca di ristoro fisico e spirituale; d'altro canto il suo isolamento la trasformò, al tempo dello scisma luterano, in luogo di confino per i monaci sospetti di simpatie per la riforma evangelica. 
Tra questi Teofilo Folengo, più noto sotto lo pseudonimo di Merlin Cocai, il più insigne poeta parodico-verista in lingua maccheronica, che qui venne a finire i suoi giorni dando lustro alla località, come scrive il Tassoni: "Campese, la cui fama all'Occidente e a' termini d'Irlanda e del Catajo stende il sepolcro di Merlin Cocajo". 
Di origine remotissima, forse longobarda o franca, è poi la chiesetta di San Martino, posta sulle prime pendici del monte che sovrasta il paese. Ma rifacciamo ora a ritroso il cammino già percorso fino alla villa Cà Michiel, per girare quindi a destra proprio davanti ad essa. 
Oltrepassata la cappella gentilizia di Cà Roberti e la quasi antistante villa Brocchi Colonna, la strada si interna ora in un'ombrosa valletta percorsa da un torrente, sulla cui riva sorge il sacello romanico di San Giorgio; la località era molto frequentata in passato per la presenza di una sorgente ferrugginosa ed idrogeno-solforata, dotata di proprietà depurative: l'acqua, frizzante ma di un odore particolare, viene volgarmente chiamata "acqua slossa" (e "Acque slosse" è pure il nome dei concorso di poesia e di satira in dialetto che qui si tiene il primo maggio). 
La strada comincia ora ad inerpicarsi per le colline scoprendo ad ogni svolta nuovi panorami sulla sottostante pianura. L'ambiente è dei più suggestivi: dappertutto la vite si accompagna all'olivo, sottolineando l'estrema mitezza del clima di queste prime pendici prealpine, mentre il rosseggiare delle ciliegie mature fa capolino in primavera dalle numerose piante sparse qua e là nei prati. 
Ma è il castagno che qui è il vero protagonista: piante enormi, vecchie di centinaia d'anni, i cui robusti rami alzano al cielo, quasi offerta propiziatoria, il loro prezioso dono, un tempo alimento principale dei montanaro nel lungo inverno e perciò chiamato "pane dei boschi". Oggi questo frutto è tornato di moda, se ne è riscoperto il sapore, il gusto di tenere tra le mani intirizzite dai primi freddi autunnali le caldarroste appena tolte dal fuoco. 
Ed è proprio in questa stagione, più precisamente alla terza domenica di ottobre, che la tradizionale fiera del marron richiama ogni anno a Valrovina i castanicoltori della zona, in lizza con i più bei raccolti per conquistare l'agognato "marron d'oro". 
Una deviazione dal nostro itinerario, meglio se fatta a piedi (tanto per sgranchirsi un po' le gambe), meritano le caratteristiche contrade di Privà e Caluga; entrambe poste sul cocuzzolo di due colline affacciate sulla sottostante vallata, godono di un panorama eccezionale: a destra la pianura sino a Vicenza, chiusa dai Colli Berici e tagliata dal serpeggiante corso dei Brenta; davanti Bassano e più oltre Cittadella; a sinistra la Valbrenta, la pedemontana del Grappa ed i Colli Asolani. 
Aggirata la conca del Silàn, al cui centro Valrovina e le sue contrade occhieggiano tra prati e boschi, la strada si innesta sulla provinciale per Asiago; da qui si scende, con belle vedute sui colli di Marostica, fino al piccolo centro di San Michele. Leggende non prive di qualche fondamento lo vogliono capoluogo della "fara di Wilingo", il cui gastaldo eresse a San Michele ed a San Giorgio, santi patroni longobardi, questa e l'altra chiesetta già incontrata nel nostro itinerario, a ringraziamento di una vittoria riportata su un tribù di invasori non ancora convertiti al cristianesimo. Poco oltre ci aspetta Bassano con il suo vecchio ponte coperto, punto di partenza e di arrivo dei nostro itinerario; qui giunti non dimentichiamo di accarezzare con lo sguardo le morbide linee dei colli appena percorsi, magari sorseggiando una grappa, che dai monti che ci sovrastano prende nome e sapore.
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