Monte Grappa tu sei la mia patria

Balzato alla ribalta della storia per i tragici avvenimenti che lo videro ultimo baluardo italiano a contrastare l'avanzata nemica durante la prima guerra mondiale, il Grappa ha ora riacquistato la sua pace bucolica di un tempo, si è ripopolato di bestiame alpeggiante nei pascoli delle malghe ed è tornato a far crescere i boschi che la grande guerra aveva annientato. 
Negli ultimi decenni è inoltre venuto assumendo la veste di parco suburbano per i cittadini della prospiciente pianura, che in pochi chilometri si trovano già immersi nella tranquillità di siti ideali per trascorrere una giornata di svago. 
Frequentato sin dal '700 da botanici interessati alla particolare flora di quest'area prealpina, diventò nel secolo scorso la montagna di casa dei Bassanesi, che sulla cima costruirono il rifugio Bassano, attirati dai vasti panorami godibili da queste alture. 
Una descrizione dell'epoca così ce le rappresenta: 
"I Colli Alti cambiano d'aspetto secondo le stagioni. Coperti di neve durante l'inverno, in maggio al candore delle nevi succede quello dei narcisi dall'acre profumo, che mutano i prati in un immenso giardino. Tosto il fieno comincia a germogliare rigoglioso e in luglio ondeggia alto e fragrante: quando vi passa la falce, i succhi aromatici che stillano dai gambi recisi mischiano gli svariati olezzi, impregnandone l'aria. Intanto maturano le fragole, poi le ciliegie, le more di macchia e il ribes selvatico, e finalmente le nocciole, mentre negli orti grandeggiano i sedani e accestiscono i cappucci. Dopo il taglio del fieno l'erba rinasce in pochi giorni tenera e morbidissima, coprendo i prati d'un bel verde smeraldo ed offrendo eccellente pastura alle mandre, che ai primi di settembre scendono dagli alti pascoli del Grappa e dell'Asolone. Finalmente, al declinar della buona stagione, quando il bosco ingiallisce e si spoglia, ecco le praterie ammantarsi d'un'ultima e stupenda fioritura: sono gli agli silvestri, dalla delicatissima tinta rosacea, saluto estremo della montagna, al quale succedono le prime folate di vento gelido, le prime brine, le prime nevi. I Colli Alti sono amenissimi, presentando alla vista una successione di praterie incorniciate di folte siepi e intersecate di vaghi boschetti. 
Le vallette che scendono verso quella più grande di San Lorenzo sono tutte ombra e frescura di faggi e abeti e olezzo di salvie e ciclamini, mentre quelle verso il Brenta precipitano ripidissime, offrendo spettacoli grandiosi di rocce, di forre, di pittoresche scogliere e paurosi burroni. A settentrione l'occhio abbraccia un caos intricato di montagne e di vette, brulle o selvose, chiuso sullo sfondo dalla fantastica cortina delle Dolomiti di Primiero, tutte creste e pinnacoli, a mezzodì invece la vista spazia libera da Verona al Carso e al mare, sull'intera pianura veneta, macchiettata di città e villaggi, solcata dal Piave e dal Brenta". 
Anticamente chiamate "Alpes Maidre", le balze montuose del Grappa cominciarono ad assumere una qualche importanza per l'economia agricola solo molto tardi, intorno all'anno mille, quando lo sviluppo delle città li pianura indusse a guardare con interesse alle immense riserve di legname presenti nelle foreste delle prealpi. Inizialmente dominio li pochi latifondisti (i Collalto, gli Ezzelini, Da Onigo), le proprietà montane furono quindi suddivise, in seguito alla donazione della regina Cornaro nel 1500, tra i vari comuni del fondovalle e della pedemontana, ingenerando liti che si protrassero per secoli. 
Nonostante le numerose ordinanze emanate la Venezia per il buon governo dei boschi, 1 taglio dei tronchi fu condotto senza alcun criterio, anzi si ricorreva talora al più sbrigativo mezzo del fuoco per ridurre a coltura o a pascolo ampie zone boscate: " ... gli uomini da Sanazaro et Solagna con lo haver tagliato de continuo immoderatamente nelli boschi de Col Alto, hanno quelli con foco et zappa talmente destructi, appropriandosi il terren a particolar suo uso, sopra di quello fabricando molti fenilli, tal che detti boschi sono venuti a termine ... " 
Così, mentre i privati usurpavano le aree più fertili, a quota meno elevata, impiantandovi numerose aziende agricole, i boschi e gli alti pascoli rimasero invece in mano ai comuni che li utilizzavano a comune beneficio tramite l'istituto dell'uso civico. 
Il bestiame, mantenuto durante la stagione invernale nell'azienda di fondovalle o di mezzo monte, veniva spostato sulle malghe in quota per il pascolo estivo, tradizionalmente di cento giorni, dai primi di giugno a metà settembre. 
La malga, ossia l'azienda pascoliva di alta ruota, era dotata di alcuni fabbricati caratteristici, realizzati tutti con pietrame a secco: nella "casara" (il cui nome deriva da "káse", formaggio) oltre alle stanze di abitazione per il casaro ed i mandriani, trovava posto il locale per la cottura del formaggio, che veniva poi fatto stagionare in un vano fresco ed arieggiato chiamato "casarin"; il bestiame veniva allogato nelle pendane, basse tettoie aperte da un lato, o, più in basso nelle sedi stabili, in stalle-fienili dette anche "casoni"; le piccole aziende, che non producevano giornalmente una quantità di latte sufficiente alla preparazione del formaggio, dovevano conservarlo nelle "giassare": erano queste una sorta di pozzi cilindrici, interrate per tre quarti della loro altezza, che, riempite di neve pressata durante l'inverno, servivano da frigorifero naturale. 
Fino a non molti anni fa il tetto di queste ostruzioni veniva realizzato intrecciando ad arte le frasche di faggio su di un graticciato di rami steso sopra le travi dei tetto: il "fojarolo", spesso fino ad 80 centimetri, era impermeabile e di lunghissima durata in quanto la fermentazione delle foglie cementava lo strato di copertura in un blocco unico. 
Attualmente sul massiccio del Grappa non rimane più di una ventina di questi fojaroi, e spesso anche questi in stato di avanzato degrado. 
Anche la malghe nel frattempo si sono dotate di strutture più efficienti, mentre poche sono rimaste quelle che ancora lavorano come un tempo il latte: restano invece sempre uguali i ritmi quotidiani di chi su quei monti lavora, del malghese che con gesti ormai rituali porta il bestiame al pascolo, lo accudisce e ne trae infine quel latte frutto di tante fatiche, origine ed ingrediente di burro e formaggi lavorati con antica maestria.

 

 

 

LA PREPARAZIONE DEL FORMAGGIO 
Il Grappa può vantare due tipi di formaggio, che solo in questa zona hanno trovato le condizioni ideali per valorizzare al massimo il loro caratteristico sapore: il Burlacco ed il Bastardo. 
Il primo, di derivazione dalmata, presenta sapore ed aroma variabili a seconda del grado di stagionatura; il secondo è un semitenero che va consumato fresco, per poter apprezzare in esso i sapori e gli odori conferiti al latte dalle erbe di montagna. La preparazione dei formaggio inizia con la mungitura serale: il latte di questa viene posto in bacinelle larghe e basse da cui viene tolta, il giorno dopo, la panna di affioramento che verrà utilizzata per la preparazione del burro. 
Al latte così parzialmente scremato viene aggiunto quello, questa volta intero, derivante dalla mungitura del mattino successivo. Messa la "caliera" di rame sul fuoco, si scalda il latte aggiungendovi alla fine il caglio: si forma così la "cagliata" che il casaro, dopo avervi tracciato con il dito una croce propiziatoria riduce in frammenti con il "triso", una sorta di bastone dentato. 
Segue un'ulteriore cottura prima di mettere in forma nelle "fassare". 
Ogni giorno, prima più spesso, poi solo a mattino e alla sera, le forme vanno rigirate per lasciar scolare perfettamente il siero e farle maturare prima della salatura. 
L'ultimo stadio consiste nella stagionatura che si svolge nel "casarin" annesso alla malga, per far ulteriormente maturare il formaggio fino a portarlo, con il massimo del suo sapore, al momento della vendita. 
La ricotta viene invece preparata con il siero la parte dei latte cioè che rimane dopo la scrematura, cotto e coagulato con il "sale inglese" 
Può essere consumata fresca oppure affumicata e stagionata. Per avere un'idea delle rese, si consideri che da un quintale di latte si ottengono 9 kg di formaggio e un chilo di burro d'affioramento. In genere le forme pesano 6-7 chilogrammi.

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