Come nasce l’olio di oliva

Da una relazione della dott.ssa Orietta Pavan alla 15^ fiera dell’Olivo di Pove - 1996

 

 

Una volta che le olive sono state raccolte, esse vengono trasportate all’oleificio, per essere lavorate entro 48 ore. Qui si eliminano le olive deteriorate, le impurità come foglie (che darebbero oli scuri e amari), sassolini, ecc. (mondatura); si lavano se impolverate o imbrattate di terriccio. Poi, soprattutto se le olive sono molto acquose, si sistemano in strati sottili di 10-12 cm nei graticci posti in un locale (olivaio) asciutto, ben arieggiato, ove si asciugano e si essiccano superficialmente rimuovendole di tanto in tanto per alcuni giorni prima di lavorarle. Però, se si vuole ottenere un olio di qualità, occorre ridurre al minimo la conservazione poiché ogni sosta prolungata provoca l’inizio di una fermentazione. Una volta portate al frantoio le olive vengono sminuzzate e ridotte in poltiglia (mosto oleoso). La poltiglia risulta pronta quando unge la mano senza sporcarla. Spesso, a questa operazione, segue la cosiddetta "gramolatura". Ossia la poltiglia è sottoposta a un delicato rimescolamento, in modo che le goccioline d’olio si uniscano e quindi diventino, nella successiva operazione di spremitura, più facilmente separabili perché più grosse. Le due operazioni di sminuzzamento e di rimescolamento sono, spesso, svolte dal solo frantoio.

La pasta è spremuta per circa 60 minuti in torchi con pressione lenta e graduale fino a 250 - 300 bar. Si ottiene un mosto costituito da olio, acqua, mucillagini, frammenti di polpa, buccia, nocciolo.

Dopo questa prima spremitura, l’olio è separato dal mosto rapidamente (con la centrifugazione), o, più lentamente, con la decantazione. L’olio contiene ancora in sospensione residui vegetali vari (frantumi di polpa, buccia, ecc.) che vengono eliminati facendolo riposare in serbatoi adatti (chiaritori) e travasandolo più di una volta.

L’olio può essere sottoposto a demargarizzazione (il più delle volte inutile): viene cioè raffreddato a 7-10 °C per 1-2 giorni onde far precipitare una parte dei gliceridi più facilmente solidificabili, che poi vengono allontanati mediante filtrazione. Si ottiene in tal modo un olio che resta fluido anche durante la stagione invernale e privo del cosiddetto sapore di grasso. Un quintale di olive rende, in media, 20 Kg. di olio. L’olio di oliva di pressione non viene consumato subito ma richiede un breve periodo di maturazione (da 3 a 6 mesi), come dice un vecchio proverbio, "olio nuovo e vino vecchio". Durante tale periodo raggiunge le sue migliori caratteristiche organolettiche (sapore, odore, colore) e le mantiene per massimo due anni (ma anche meno se conservato male).

Negli oleifici, l’olio viene conservato in grandi cisterne in muratura rivestite di piastrelle o vetrificate, o in recipienti di acciaio inox. Anticamente questi enormi recipienti erano di coccio interamente verniciati a fuoco e si chiamavano "orci".

L’olio così ottenuto è l’olio di prima spremitura a freddo: extravergine di oliva e vergine di oliva. Ma la pasta di olive, parzialmente esausta in seguito alla prima spremitura, viene tempestivamente rimacinata bagnandola con acqua calda, quindi è sottoposta a una seconda spremitura più prolungata (70 minuti), più energica (fino a circa 400 bar) e con l’aiuto di acqua calda che serve a favorire la separazione dell’olio rendendolo, però, anche più facilmente alterabile. A volte viene fatta una terza rimacinatura e spremitura: queste, oltre che essere inutili, sono anche scorrette perché da esse si ottengono olii di scarsa qualità.

Dopo la seconda spremitura rimane nei torchi una massa quasi asciutta costituita dalle parti solide dell’oliva (buccia, polpa, nocciolo frantumati) chiamata sansa. La sansa contiene una certa quantità (3-6%) di olii che non può più essere recuperata per spremitura. La sansa viene ben sminuzzata ed essiccata, quindi si estrae l’olio con l’impiego di un adatto solvente chimico facilmente volatile come esano o trielina. Il solvente viene poi allontanato per evaporazione (e riutilizzato), mentre l’olio che rimane - detto olio di sansa - è fortemente acido (15-40%), torbido, maleodorante e quindi assolutamente immangiabile. La sansa esaurita è utilizzata come combustibile e concime.

L’olio di sansa, per essere reso commestibile, è sottoposto a una serie di energici trattamenti industriali (chimici e fisici) detti "rettificazione" e cioè: riduzione della acidità ottenuta di solito mediante l’aggiunta di sostanze alcaline (es.: soda); decolorazioni con terre o carboni attivi sottovuoto; decolorazione sotto vuoto spinto con vapore acqueo surriscaldato a 200-220 °C; demargarizzazione per liberare l’olio di sansa dai gliceridi più solidi di cui è ricchissimo. Si ottiene un olio limpidissimo, insapore, inodore, facilmente deperibile e nutrizionalmente scadente (riduzione degli acidi grassi insaturi e acidi saturi, perdita di vitamine, di sostanze utili quali squalene, fitosterine, fosfatidi, composti aromatici ecc.)

L’olio così ottenuto è messo in commercio come tale o miscelato con olio vergine di oliva, ma la legge non stabilisce le proporzioni con cui i due devono essere miscelati (olio di sansa di oliva rettificato e olio di sansa e di oliva).

Infine, a causa di alterazioni subite dalle olive per sistemi di raccolta e di trasporto irrazionali, cattiva conservazione, trattamenti tecnologici mal condotti, ecc., si può ottenere, dopo l’ultima spremitura meccanica, un olio di scarto immangiabile detto "olio di oliva lampante" (avente odori disgustosi). Non per niente il nome lampante deriva dal fatto che, una volta, era usato per l’illuminazione. L’olio lampante è reso commestibile sottoponendolo a una serie di trattamenti simili a quelli usati per l’olio estratto dalle sanse).

 

 

La classificazione dell’olio d’oliva

 

L’olio di oliva commestibile viene classificato in:

  • olio extravergine di oliva: ottenuto meccanicamente dalle olive, senza aver subito manipolazioni chimiche; non deve contenere più di 1 g ogni 100 g di acidità espressa come acido oleico.
  • olio vergine di oliva: ottenuto come l’extravergine, con acidità non superiore a 2 g per 100 g.
  • olio di oliva: ottenuto da un taglio di olio di oliva raffinato e da oli di oliva vergini diversi dall’olio lampante la cui acidità, non può superare 1, 5 g per 100 g.
  • olio di sansa e di oliva: ottenuto da un taglio di olio di sansa di oliva raffinato e di oli di oliva vergini diversi dall’olio lampante la cui acidità non può eccedere 1,5 g per 100 g.

 

La differenza tra i primi due oli e gli altri è sostanziale. Mentre l’olio vergine d’oliva e quello extravergine sono ottenuti esclusivamente da processi fisici e meccanici, gli altri sono ottenuti con processi di raffinazione, presentando quindi non solo aromi non buoni, ma anche ben pochi valori nutritivi tipici invece dell’olio vergine e extravergine.

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