L’olivo nella pedemontana del Grappa

di Domenico Dal Sasso

 

Pianta tipicamente mediterranea, l'ulivo nei secoli ha emigrato verso nord, e ha raggiunto nel Veneto la latitudine massima della sua espansione. Gli ulivi che si coltivano nel Veneto sono i più a nord del mondo. Sulla riviera dei Garda, sulle colline veronesi, nella pedemontana del Grappa, nei colli Berici ed Euganei, il prodotto di questa pianta compensa con qualità particolari e tipiche la minor quantità che riesce a dare, rispetto alle produzioni del sud.

Infatti, la produzione per ettaro dalle nostre parti è di circa cinquanta quintali di olive, di media, contro i 200 quintali nel sud. Questa differenza dev'essere compensata da qualcosa: e questo qualcosa è appunto la qualità tipica, e il prezzo che grazie ad essa si può ricavare. Ma la qualità, anche se c'è in un prodotto, non viene premiata automaticamente: bisogna valorizzarla, dimostrarla, fatta conoscere, fatta apprezzare e, appunto, farle ricevere un congruo prezzo.

Sulla base della legge n. 169 dei 1962, che prevede il riconoscimento di denominazioni di origine controllate per gli oli d'oliva, anche gli oli dei Veneto stanno per essere insigniti della DOP: precisamente la DOP olio di oliva extravergine "Veneto", con sotto specificazioni "Valpolicella", "Del Grappa" e "Euganei-Berici". A tale proposito, il Ministero delle risorse agricole e forestali ha già approvato il disciplinare di produzione, il cui articolo 1 recita appunto: "La denominazione di origine controllata "Veneto", accompagnata da una delle seguenti menzioni geografiche aggiuntive: "Valpolicella", "Euganei e Berici", "Del Grappa", è riservata all'olio extravergine di oliva rispondente alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione".

In esso si stabilisce, ad esempio, che la produzione complessiva non può superare Kg. 7000 per ettaro per gli impianti intensivi, che la raccolta delle olive dev'essere effettuata entro il 15 gennaio, che la resa massima delle olive in olio non può superare il 18%. Le varietà degli ulivi da cui deve derivare l'olio, sono quelle tradizionalmente coltivate nella zona: per esempio, per il "Del Grappa", il Frantoio e il Leccino devono entrare per almeno il 50%, il Grignano, Pendolino, Maurino, Leccio del Corno, Padanina devono entrare in misura non superiore al 50%. Ovviamente, com'è nella natura dell'olio vergine, esso deve derivare dalla spremitura meccanica delle olive, a freddo, senza subire nessun'altra lavorazione, e assolutamente nessun trattamento di natura chimica. Precisamente: "Per l'estrazione dell'olio extravergine di oliva sono ammessi soltanto i processi meccanici e fisici atti a garantire l'ottenimento di oli senza alcuna alterazione delle caratteristiche qualitative contenute nel frutto".

E qui va osservato come la semplicità dell'operazione di spremitura, seppure avviene con macchine tecnologicamente evolute, ne fa un'operazione ancora legata alla produzione. Il frantoio non è la prima fase industriale, ma l'ultima fase agricola, una propaggine della coltivazione. Di conseguenza quello che sta tra la coltivazione e il frantoio, cioè la raccolta e la cura delle olive, è ancora impegno lavorativo e responsabilità del coltivatore. Cosa importante e delicata, perché la qualità tipica dell'olio si gioca, a rischio, in buona parte proprio in queste fasi.

L'appellativo di "extravergine" o di vergine "extra", è meritato all'olio non da una differente procedura di spremitura, rispetto al "vergine", ma da una limitazione dell'acido oleico entro la soglia dell'1%. Con percentuali superiori di acido, l'olio cambia denominazione.

La qualità, però, non è affidata solo alla percentuale di acido oleico. Nel campo degli oli extra vergini, è una questione di sapori, più che di qualità nutrizionali, le quali non differiscono molto tra i diversi tipi di oli vergini. Invece i sapori differiscono. Come differiscono i colori e i profumi dei fiori, sebbene anche i fiori abbiano spesso una qualità estetica simile. E qui si deve giocare la carta della valorizzazione dei sapori dell'olio extra vergine specifico. Si deve saper far sentire, gustare, profumare, apprezzare, preferire, volere, l'olio di una determinata zona, di una certa produzione, di un particolare pendio, perché i suoi sapori e profumi sono percepibili e gustabili e alla fine sono riconoscibili e ne fanno una cosa prelibata.

Ci si chiede se siamo preparati a fare questo, come produttori, come venditori, come utilizzatori dell'olio in cucina. Se sappiamo, insomma, assaggiare e distinguere e individuare e saper dire e saper far notare e indurre alla degustazione i sapori degli oli d'oliva extravergini, e favorirne l'ampliamento dell'uso. E non si tratta di far notare che l'olio è buono perché non ha difetti. Questo non è sufficiente per dire che ha qualità. Ci mancherebbe. Sarebbe come se dichiarassimo la qualità di un vino dal fatto che non sa da tappo, o da muffa, o da anidride solforosa, o da aceto. Queste assenze sono necessarie, nel vino, come nell'olio: l'assenza assoluta di difetti è la base neutra, la partenza indispensabile per la scoperta dei suoi pregi. Che sono i sapori fruttati, di mandorla o di carciofo, che lasciano il profumo nell'alito, che toccano le papille anche in relazione alla viscosità maggiore o minore. Insomma l'olio dei nostri luoghi ha in sé l'essenza della terra, che le radici delle sue piante carpiscono agli elementi, ha in sé la luce degli azzurri tenui dei cielo assorbiti dalle foglie lucide e felpate, ha la piacevolezza dei calori che non eccedono in alto né verso il freddo, ha l'umore degli uomini che lo coltivano e che alla vicinanza delle sue piante percepiscono e respirano la pazienza della storia.

Sarà per questo che l'olio nell'antichità è servito anche ad ungere e consacrare i re. Sarà per questo che oggi l'olio viene servito a consacrare il cibo di un senso che il solo nutrimento non esaurisce.

 

L'olivo nostrano nella legislazione CEE

 

Nella registrazione ai sensi del regolamento CEE n. 2081/92 relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agricoli ed alimentari, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee in data 20.12.2000, a dimostrazione della storicità dell'allevamento dell'olivo nella nostra arca geografica, viene evidenziato al paragrafo 4.4 l'olivicoltura nella nostra zona.

 

4.4 Prova dell'origine: la coltivazione dell'olivo è stata introdotta nel veneto dai coloni romani, in quanto era costume degli antichi romani assegnare ai soldati parte dei nuovi territori conquistati per coltivarli. Testimonianze storiche certe sono comunque date da documenti del IX secolo dove si citano oliveti nell'area gardesana di Malcesine. Successivamente da tale area la coltura è stata estesa in Valpolicella, Valpantena, Val d'Illasi e in progressiva espansione è giunta alle colline vicentine fino a Pove del Grappa e alle pendici dei Colli Berici ed Euganei. Dall'epoca dei romani ad oggi l'olivicoltura veneta ha subito alterne vicende: da periodi di forte sviluppo a momenti di crisi dovuti sia a motivazioni economico-commerciali che agli effetti del clima, che periodicamente ha provocato la morte di un gran numero di piante a causa delle forti gelate. Dopo la prima guerra mondiale si conosce una forte ripresa della coltura che si accentua sempre più grazie anche ai sostegni economici degli enti locali e ai provvedimenti legislativi.

 

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